11-03-2010 Firenze: mostra-mercato dell’immobiliare, contestata l’inaugurazione

Oggi, in circa 60  fra occupanti di case e studenti, abbiamo deciso di rovinare la festa alle decine di agenzie di strozzinaggio immobiliare della toscana che si riunivano per "il salone dell’immobiliare".

Da alcuni anni  Firenze ha infatti anche una sua vetrina pubblica. Stand, esposizioni, incontri..tutto in nome del mattone.

Si nascondono volutamente le vergogne di un mercato impazzito. Si nasconde il saccheggio della città. A Firenze la speculazione ha divorato interi quartieri, riducendo la città a tempi e ritmi a misura di merce di scambio e vertiginosi scambi di favori e profitti. La città di Firenze vede ormai distrutta una qualità urbana che si fonda sui beni comuni: edilizia sociale inesistente, autorecupero di aree dismesse e stabili vuoti sono linguaggi ormai impossibili per le odierne politiche del costruire, riqualificazione urbana a suon di sgomberi e deportazione dei migranti e delle classi più povere il più lontano possibile.

La "crisi del mattone" è in realtà la crisi economica di milioni di nuovi poveri, di operai in cassa integrazione, di giovani precari, di migranti in cerca di una vita migliore.

Per queste ragioni pensiamo che aver interrotto l’inaugurazione della mostra mercato dell’immobiliare piena di tacchi a spillo e cravatte inamidate che si arricchiscono sulla nostra pelle sia stato un atto dovuto difronte ai bisogni reali di migliaia di abitanti della città.

Basta speculatori!  Riprendiamoci le città!

Rilanciamo anche oggi l’appuntamento del convegno dal basso "Abitare nella crisi", partecipate!!

Movimento di lotta per la casa, Rete Insicuri, csa nEXt Emerson

Autocostruzione

Il tema dell’Autocostruire interessa una pratica ereditata non una novità nell’ambito edile. Chi ci si affaccia lo fa(ceva) per esigenza prima di tutto. Ad oggi costruire la propria casa è un sacrificio che molta gente sente di potere e di dovere intraprendere pur di abitare in un alloggio dignitoso che in più, grazie al fatto di essere stato autocostruito acquisisce un valore aggiunto. “Farsi” la casa con le proprie mani non va interpretato come semplice azione di “bricolage”, di manovalanza, proprio perché se così fosse il costo degli edifici auto costruiti non sarebbe più conveniente: subappaltare tutto tranne la manovalanza delle opere di muratura non servirebbe ad abbattere i costi che oggi fanno lievitare paurosamente i prezzi degli alloggi e limitano gli acquisti solo a fasce di reddito medio-alte. L’Autocostruzione deve (dovrebbe) servire alle persone che non possiedono altri alloggi di proprietà e mai potranno possederne in quanto non idonei ad accedere a mutui troppo alti, lunghi o ipotecari (cosa può ipotecare chi non ha nulla?).
Nel corso del progetto di ricerca “il cantiere di Autocostruzione” uno degli obiettivi consiste nell’esame delle esperienze realizzatesi nel territorio italiano e (successivamente) europeo, e nella seguente elaborazione di modelli di esecuzione. In un secondo momento, sulla base di un confronto tra i modelli desumibili da tali esperienze e le caratteristiche dei progetti in corso nel territorio nazionale, verranno individuate le peculiarità del contesto di ciascun cantiere e il grado di riproducibilità dei modelli esaminati ricavabili. Non vanno trascurati inoltre gli aspetti sociali, economici, finanziari che rientrano nell’esperienza: fasce di reddito a cui
Saranno quindi valutate in forma analitica esperienze non solo andate a buon fine ma anche progetti di autocostruzione non concretizzatisi, confrontandone i profili comparativi con le esperienze in corso di realizzazione, ed individuando, sulla base delle peculiarità di alcuni casi di studio, le potenzialità del tema dell’Autocostruzione e le carenze di taluni approcci.
In particolare si imposteranno i presupposti teorico-metodologici, ci si avvarrà di studi a carattere generale, di criteri e strumenti operativi, di pratiche dell’edilizia autogestita, forme alternative di partecipazione, forme di organizzazione e quant’altro. Nel corso del progetto di ricerca si prevede di organizzare, con il supporto della Fondazione, seminari, convegni, visite e incontri sull’Autocostruzione e degli imprescindibili temi dell’Autorecupero e della Partecipazione.
Ad oggi i “cantieri” analizzati sono 26 così classificati :
– regolarmente in corso,
– in progetto,
– in ritardo,
– sospeso o interrotto,
– terminato
– del quale si devono verificare le notizie raccolte (per motivi di pluralità di fonti tra loro discordanti o per superficialità delle risposte e dei dati raccolti).
Di quelli in corso/ritardo ne abbiamo visitati 4, di quelli terminati 2 e abbiamo avuto colloqui diretti con i responsabili delle iniziative dei progetti sospesi per capire le problematiche.

Regione Lombardia: Coop. Cecla (Abbiategrasso – Mi), Coop. ARCOIRIS (Besana Brianza – Mi), Coop. FUTURA CASA (Vergiate – Varese), Coop. Progetti Uniti (Paderno Dugnano – Mi), Coop. AURORA (Trezzo sull’Adda – Mi), Coop. SOLE (Pieve Emanuele – Mi)
Regione Emilia Romagna : Coop. Piccolo Mondo (Savarna – Ra), Coop. Mani Unite (Filetto – Ra), Coop. VENTISEIALI (Piangipane – Ra), Coop. CASA FUTURA (Ce), ARIACOOP (S. Giovanni in Marignano – Rm),
Regione Umbria : Coop. ARNA INSIEME (Località Ripa – Pg), Coop. CASA TUA (località Ammeto a Marsciano – Pg), Coop. TUTTI PER UNO (Località Sant’Enea – Pg), Coop. 48 MANI (Località Gabelletta – Tr), Consorzio ABN (Corciano e Valfabbrica – Pg)
Regione Marche : Associazione Temporanea di Scopo costituita dal Consorzio Abn a&b Network Sociale di Perugia e dal Consorzio Solidarietà di Senigallia, intervento ad Amandola – Località Casa Tasso (Ap)
Regione Abruzzo : Comitato per la rinascita di Pescomaggiore (Pescomaggiore – Aq)
Regione Toscana : Coop. SPERIMENTALE 1 (San Piero a Sieve – Fi), (Monteriggioni – Si), Santa Maria a Monte – Pi
Regione Veneto : Coop. SIRIO (Cadoneghe – Padova), Coop. L’Avventura (Mestrino – Padova), Coop. KEVIN (Cittadella – Padova).
Per avere uniformità e riuscire a gestire i dati in modo da trarne anche utili grafici, tabelle e interpretazioni analitiche si sono ordinate nei gruppi che seguono una serie di opportune domande da sottoporre (e da sottoporci) per i casi-studio

PRIMA DEL CANTIERE (È la fase di promozione, la più delicata perché è da questa che si parte per raccogliere i consensi e le volontà e per capire se l’intervento è fattibile)
In che modo e da chi è stata individuata l’area su cui edificare gli alloggi in Autocostruzione?
Quanto è costato il terreno e a quanto ammontano (se previste) le spese per l’urbanizzazione dell’area?
Come l’iniziativa è stata portata a conoscenza dell’opinione pubblica locale? E durante il cantiere sono state promosse iniziative di coinvolgimento dei cittadini?

In che modo sono stati selezionati i beneficiari che sono stati coinvolti nell’iniziativa? Avete un fac-simile del bando di selezione?

In che modo si è creata la cooperativa edilizia che associato tra loro i beneficiari?

Si è dovuto trovare un istituto di credito per finanziare l’intervento? Se si quale e con che tipo di tassi e tempi di estinzione?

Le spese affrontate le avete già cominciate a pagare o comincerete a pagare il tutto alla consegna degli alloggi?

Chi si è occupato delle pratiche amministrative necessarie per la realizzazione del progetto edilizio ?

Chi ha redatto il progetto esecutivo, il capitolato speciale e l’elenco prezzi? È stato necessario anche un progetto delle opere di urbanizzazione ?

Quali sono state le scelte progettuali ? Si è puntato sulla bioedilizia, sull’architettura tradizionale del luogo o si è stati vincolati da un indirizzo progettuale già in itinere ?

In che modo e con che tempi i beneficiari hanno acquisito le competenze e le tecniche necessarie al lavoro in modalità di Autocostruzione? Ed è stato necessario attestare un titolo di competenza tecnica a chi non aveva mai fatto parte del settore edilizio?

Come è stata incentivata la convivenza interetnica tra i beneficiari dell’iniziativa e la comunità locale all’interno della quale è stato realizzato l’intervento ?

Come sono stati i rapporti con le istituzioni e la Pubblica Amministrazione ?

DURANTE IL CANTIERE (È la fase “operativa” in cui la sperimentazione diventa realtà e ci si trova a che fare con i propri limiti e con le

È stata necessaria una documentazione per la sicurezza di cantiere, PSC, PSSS, POS etc…?

Se si chi è stato il tecnico addetto e che qualifiche possedeva ?

Tutta la documentazione contabile e amministrativa è stata curata da soci della cooperativa o è servita l’assistenza di personale esterno ?

Non dovendo richiedere il DURC per l’impresa esecutrice (ai sensi della Circolare MLPS n. 848 del 14.7.2004) quali forme assicurative sono state adottate per gli autocostruttori?

Quali opere sono state realizzate dalla cooperativa di autocostruttori e quali si sono dovute subappaltare?

Per gli impianti realizzati dalla cooperativa di autocostruzione come si è fatto per ottenere le certificazioni conformità?

Quante ore e con che tempi si sono svolti i lavori in cantiere ? Sono stati necessari accordi con i sindacati dei lavoratori per concordare gli orari di lavoro?

Il cronogramma programmato è stato rispettato (si sta rispettando)? Se no per quali cause si sono avute proroghe, sospensioni o ritardi ?

Sono state necessarie delle varianti al progetto o al quadro economico in fase di esecuzione ?

Rispetto al conto economico programmato è stato rispettato (si sta rispettando) il preventivo di spesa?

È stato valutato un costo al metro quadrato dell’edificio finito? Se sì a quanto ammonta, comprese le finiture e gli eventuali impianti di recupero delle energie alternative?

L’EDIFICIO (È l’obbiettivo da raggiungere, è l’oggetto materiale di tutte le azioni, è la sintesi di una serie di scelte progettuali finalizzate a costituire “la dimora di proprietà”)

Che tipologia costruttiva è stata adottata per la struttura?

I materiali utilizzati provenivano da aziende locali? E si sono utilizzati materiali derivanti da un ciclo di riuso o di riciclo?

Ciascun autocostruttore ha rifinito la propria abitazione secondo le proprie scelte o c’è stato uno standard esecutivo?

OLTRE IL CANTIERE (È il consuntivo dell’esperienza – buona o cattiva che sia stata o che sarà – e serve a valutare cosa si può migliorare per intraprendere altri interventi)

Quali sono state le impressioni a caldo a fine lavori degli autocostruttori?

Quali sono stati e sono tuttora i giudizi degli abitanti del quartiere?

Quali sono state le osservazioni dell’Amministrazione comunale?

Quali sono state le opinioni dei mass-media e degli altri addetti del settore edilizio?

Pensate già ad un prossimo cantiere ? Se si cosa migliorereste nell’iter del cantiere di Autocostruzione?

Rendiamoci conto che non esiste “la ricetta” per autocostruire poiché trattasi di esperienze non standardizzabili, ma è la “pratica dell’autocostruzione” che noi vorremmo promuovere come buona pratica generale e non semplicemente come sommatoria di una serie di azioni tra loro eterogenee.
Sappiate infine che il costo di questi alloggi è inferiore rispetto a quelli comuni tuttavia il “valore” è direttamente proporzionale alla fatica svolta da ciascun autocostruttore ed è anche logico che poi – come è accaduto per gli interventi terminati – trascorso il periodo per poi rivendere o affittare il proprio alloggio gli autocostruttori abbiano preferito continuare, gelosamente, ad abitarci loro, quasi si fosse instaurato un legame inscindibile.
In Autocostruzione ci dobbiamo rendere conto che “È la somma che fa il totale”!

Arch. Mariangela Martellotta  associazione Hassan Fathy 

Introduzione tavolo autorecupero e autocostruzione: esperienze a confronto

Convocazione tavolo autorecupero (introdurrà A. Pecoriello, urbanista)

 

Di fronte al costante consumo di suolo, allo spreco del
patrimonio edilizio pubblico e alla continua espulsione di abitanti dalla città
l’autorecupero comincia ad essere riconosciuto come una pratica virtuosa sia
dai movimenti attivi da sempre sulla questione del diritto all’abitare sia
dalle istituzioni in cerca di innovazione delle politiche abitative per
rispondere a una domanda di abitare sostenibile da parte di fasce sempre più
ampie di popolazione. Il tavolo sull’autoprecupero vuole provare a mettere a
confronto le pratiche profondamente diverse che si stanno diffondendo in numerose
città italiane, talvolta su iniziativa istituzionale e in assenza di dialogo
con i movimenti di lotta per la casa e le occupazioni, tal altra a partire da
essi. La definizione delle procedure amministrative, dei quadri normativi, il
modo di gestire gli aspetti finanziari, l’accesso al credito, la proprietà
individuale o collettiva, i modi di abitare e di gestire la socialità
all’interno e la capacità di aprirsi alla città con attività e iniziative di
lotta in collegamento con altre realtà, la compartecipazione dei futuri
abitanti con il proprio lavoro o affidandosi a imprese esterne, la presenza di
soggetti intermedi tra abitanti e istituzioni nella gestione del processo sono
alcune delle differenze che vorremmo esplorare nel tavolo a partire dal confronto
tra 3 modelli di autorecupero in corso di sperimentazione a Firenze, Bologna,
Roma.

Casa subito, reddito per tutti (Cosenza)

Casa subito, reddito per tutti!


Stamattina decine di famiglie,migranti e precari hanno finalmente gridato alla città di Cosenza tutta la loro rabbia e il loro dissenso verso l’intera amministrazione comunale, per rivendicare un diritto sociale inalienabile: il diritto all’abitare.
Ci siamo ritrovati su via Piave e abbiamo occupato il palazzo delle Politiche sociali chiedendo spiegazioni per quanto riguarda i criteri in base ai quali vengono assegnate le case popolari, e come mai ci sono tantissimi palazzi vuoti che non vengono requisiti dal comune ed adibiti ad edilizia popolare. Dopo questa prima azione abbiamo deciso di raggiungere il comune di Cosenza per incontrare il Sindaco Salvatore Perugini. Ma si sa che la politica istituzionale quando vede i problemi veri della città,si barrica nei suoi inutili stanzoni. E cosi è stato, anzi, poco dopo essere arrivati ,sopraggiungono due volanti della polizia che cercano in tutti i modi di smorzare la lotta arrivando a qualche momento di tensione. Cerchiamo di entrare dentro il comune ma i vigili bloccano la porta, cominciano gli spintoni e non solo… Un nostro compagno viene lievemente ferito al naso, ma la tensione finisce dopo pochi istanti. Subito dopo blocchiamo la strada per mezz’ora,intasando il traffico cittadino con striscione e megafono in mano rivendicando i diritti negati e sputtanando l’inefficienza delle istituzioni locali verso la questione abitativa. Questa è solo la prima giornata di protesta e denuncia, la lotta non cesserà fino a quando non ci riapproprieremo del diritto all’abitare, inteso come forma di riappropriazioni di reddito e diritti sociali, e non come terreno di speculazione dei palzzinari. Continue reading “Casa subito, reddito per tutti (Cosenza)”

introduzione al tavolo” metropoli e movimenti”

Movimenti
per il diritto all’abitare e metropoli

“Oggi
é lo spazio ad essere denaro, ed é nella sua infinita
estensione e ramificazione lungo quei corridoi di comunicazione che
aggirano, attraversano, lambiscono e circondano paesi, villaggi,
campagne e città che si produce, si muove, si scambia, si
accresce il capitale. La strada é spazio in se; l’unico
spazio possibile, l’unico immaginabile. Chi controlla le strade
controlla la ricchezza. Chi comanda sulle strade norma i
comportamenti. Se la moltitudine sta alla metropoli come il
proletariato operaio stava alla fabbrica, allora, il blocco sta alla
strada come il sabot stava alla catena di montaggio
.”

Questo
tavolo di lavoro intende mettere a confronto le esperienze di
territori e soggetti diversi per riflettere sulle prospettive dei
movimenti di lotta per la casa, l’abitare e i beni comuni nelle
metropoli di oggi.

Nonostante
il tema della relazione tra produzione capitalista, territorio e
lotta di classe sia stato per molto tempo al centro della ricerca
pratica e teorica di molte esperienze politiche autonome, l’attualità
si è trasformata con una velocità e spesso una violenza
che mettono in difficoltà le categorie del passato. E’ comune
la fatica a trovare un filo conduttore nel presente.

Da
sempre le città servono per fare soldi, spesso in fretta e
sulle spalle di lavoratori e lavoratrici. Ma le metropoli sono anche
il terreno della cooperazione sociale che produce ricchezza ed il
luogo in cui la fabbrica sociale mostra più apertamente la sua
concretezza ed anche i suoi limiti. Le città sono state teatro
da sempre, di sommosse, rivolte, insurrezioni e creazioni di nuove
forme di vita e di relazione. Le metropoli sono ancora qualcosa di
diverso, territori complessi di cui spesso ci sfugge il funzionamento
ed il senso complessivo.

Le
lotte per la casa, giocate spesso nella concretezza dei quartieri si
scontrano con la differenziazione di leggi e regolamenti locali e
regionali e con una quotidianità che spesso costringe a
guardare il particolare ed il locale. Appena però colleghiamo
i tasselli delle tante vicende di speculazione e di resistenza
singolari vediamo come si sia formato in questi anni un nuovo
“sistema”, che unisce un’economia finanziaria che prospera grazie
al crimine ed all’illegalità, una idea di sviluppo umano ed
economico suicida, e una classe politica collusa o molto spesso
incapace.

In
questo senso la lotta per la casa è spesso una delle
esperienze più complesse ma allo stesso tempo immerse nelle
contraddizioni. La lotta contro la speculazione e la denuncia degli
abusi può diventare pratica di progettazione, di costruzione
di comunità ma anche di opposizione e di sabotaggio dei piani
di sviluppo insensati e nocivi. Le metropoli oggi sono al centro del
discorso pubblico della sicurezza e degli effetti sociali prima
ancora che urbanistici di quest’ultimo. Il pensiero corre
naturalmente al rapporto tra razzismo, costruzione di nuove identità
specialmente tra i più giovani, appartenenza locale e
precarietà di vita. Le nostre esperienze sono immerse in
questo scontro di soggettività, di storie, di ambienti, e
spesso dai terreni dove si svolge la lotta per l’abitare, iniziano
esperimenti di convivenza, oppure esplodono contraddizioni mai
risolte che aprono però lo spazio per nuove domande e
trasformazioni.

In
occasione dell’esplosione delle rivolte nelle banlieues
francesi
nel 2005 e in seguito ogni volta che avviene qualcosa di fuori dal
quadro delle previsioni, i politici nostrani si affrettarono a negare
anche soltanto la possibilità di una rottura simile della
coesione e della narrazione sociale.

Si
sbagliavano, ma se l’esplosione tragica ed immediatamente
spettacolarizzata di Rosarno è accaduta dove nessuno se
l’aspettava, fa sorridere pensare oggi che le terribili periferie
delle nostre metropoli ed i loro centri storici inospitali e
sterilizzati possano non produrre un carico di rabbia e frustrazione
sociale pericoloso per l’ordine sociale.

Eppure
non si tratta di attendere il peggio, ma di costruire coscientemente
delle nuove per abitare nella crisi, e per iniziare a crearla.

I
campi di discussione che individuiamo in questo tavolo sono dunque:

-il
rapporto tra lotta per l’abitare e metropoli intesa come dispositivo
di produzione di valore/ricchezza legata agli interessi della rendita
ed allo stesso tempo di emarginazione e povertà. Quale
possibile rapporto tra lotta per la casa, lotte per il reddito ed
alternative al capitalismo.

-il
razzismo e il movimenti per il diritto all’abitare: quale rapporto
con i quartieri, con la strada, ed allo stesso tempo con la necessità
di produrre spazi o iniziative per alimentare le culture vive del
meticciato e dello scambio.

-lotte
per il diritto all’abitare e difesa dell’ambiente e del territorio,
difficoltà, tendenze e prospettive.

Abstract intervento sul caso berlinese. Laura Colini

Strategie e limiti dell’abitare collettivo a Berlino

Strategie
e limiti dell’abitare collettivo a Berlino

Berlino
e’ un esempio unico per tolleranza e stimoli di forme diverse
dell’abitare urbano. A Novembre del 2009, la Berlino unificata
compie vent’anni. Dopo la caduta del muro, la transizione verso il
sistema capitalista occidentale, e’ stata fortemente combattuta sul
terreno dell’urbano da uno spirito di ribellione anarchica e di
coscienza sociale che ha caratterizzato l’evoluzione della città
stessa attraverso occupazioni, autogestione di spazi comuni e centri
culturali collettivi. Usi sperimentali di spazi hanno inventato,
proposto e costruito l’utopia reale di un abitare che risponde
più ad esigenze sociali e culturali che a quelle delle
economie di mercato. Berlino, per uniche ragioni congiunturali
storiche e politiche, è stata la culla di un’urbanità
che ha praticato tipologie dell’abitare autorganizzate che a
tutt’oggi sono un valore sociale, economico e ambientale per la
città. Alle forme di alloggio collettive, si associano
modelli di vita politicamente impegnati che investono in economie
solidali e di sussistenza, nel risparmio energetico e rispetto
dell’ambiente, e nella cultura sperimentale come nutrimento primo
della società. Se il percorso di molte delle occupazioni anni
Novanta ha per molti soggetti inizialmente coinvolti avuto un corso
di lenta assimilazione nel sistema main-streaming, molte sono ancora
le realtà di spazi autogestiti che lottano per la
sopravvivenza contro il processo di mercificazione delle subculture e
di soppressione dei Freiräumen (progetti abitativi comuni).
Berlino dà segnali di cambiamento: sposa politiche pubbliche
apparentemente progressiste con tratti neocomunitaristi
(Jessop:2002), che tendono sempre più la mano
all’imprenditoria dell’industria creativa e della speculazione
con mega progetti di rigenerazione urbana (Mayer: 1995) che mettono
in pericolo questo patrimonio sociale.

La
presentazione al seminario da’ un acconto critico dello stato
attuale di alcuni progetti dell’abitare autogestito, raccontandone
in breve tratti le forme di gestione e la loro curva evolutiva,
concludendo con un proposta di ricerca transnazionale.

introduzione al tavolo “Autorecuperare le città”

Autorecuperare
le città

 

Nuove
e vecchie emergenze: alcune “Banalità di Base”

 Nell’odierno
scenario, caratterizzato dai primi morsi di una crisi economica che
si annuncia “ferma e duratura”, l’emergenza abitativa supera le
dimensioni a cui i già pessimi anni ’90 ci avevano abituato.
Le supera in senso quanitativo; perchè sono sempre di più
le persone a vivere in termini letteralmente emergenziali il bisogno
abitativo. Le supera in senso qualitativo; perchè le spirali
della precarizzazione sociale e lavorativa, della disoccupazione e
della riduzione drastica degli ammortizzatori sociali trascinano
nell’emergenza settori della popolazione che fino ad oggi non ci
avevano “fatto i conti”.

Un
salto di qualità, quindi, che vede aggiungersi alle “storiche
icone” dell’emergenza abitativa ( migranti, famiglie monoreddito,
giovani coppie, i cosiddett* marginal*) nuove categorie non meno in
crisi ( proprietari, possessori di mutui, professionisti).

E’
un salto di qualità che non può essere compreso se non
letto criticamente e inscritto nelle più ampie trasformazioni
degli ultimi 20 anni in cui i governi, di centro-destra o
centro-sinistra che fossero, hanno lavorato con zelo nel garantire i
processi di accumulazione della ricchezza a vantaggio di pochi ed a
spese della stragrande maggioranza della popolazione. Svendita dei
patrimoni immobiliari pubblici, cartolarizzazioni e privatizzazioni,
abolizione dell’equo canone e di ogni calmiere dei prezzi al metro
quadro, liberalizzazione del mercato immobiliare, nessun rilancio
effettivo dell’edilizia popolare. Se ciò non fosse bastato
l’emergenza abitativa, le città ed i territori sono stati
trasformati in “combustibile” per le grandi imprese costruttrici
producendo quadri normativi e strumenti di “pianificazione” tesi
a facilitare l’appropriazione privata delle aree dismesse, a sancire
la possibilità di costruire senza vincoli, a permettere il
finanziamento pubblico di operazioni guidate da soggetti privati ed a
loro esclusivo vantaggio.

L’Edilizia
Residenziale Pubblica (erp) è oramai sparita. Dei 200 milioni
di euro stanziati nel piano casa del governo nemmeno un euro viene
destinato all’erp, tutti i finanziamenti sono destinati per
interventi che vengono contrabbandati come edilizia pubblica ma di
pubblico hanno solo i finanziamenti.

L’ERP
viene sostituita dai Fondi Immobiliari, dalla Finanza di Progetto e
dal cosiddetto Social Housing, ma con questi strumenti non si
producono case a un prezzo accessibile per la maggior parte dei
proletari, e tanto meno case di proprietà pubblica.

Alla
distruzione dell’ ERP fatta dal governo del cattivo Berlusconi si
affiancano gli interventi di Regioni e Comuni, che anche nelle aree a
maggioranza di centro sinistra riperpetuano e spesso superano in
peggio, per modalità e contenuti, gli interventi del governo.

Quello
che è avvenuto in Toscana negli ultimi anni è
estremamente indicativo.

Dalla
proposta di riforma della legge regionale sulla casa (che fa
letteralmente sparire la parola “pubblico” sostituendola con
“sociale”, introduce l’ISEE per aumentare a dismisura i canoni
fino a farli lievitare a prezzi di mercato, prevede la svendita del
patrimonio a prezzo di mercato) fino agli scandali (Castello,
Ligresti, Quadra,BaldassiniTognozziPontello)che hanno investito a
ripetizione

la
giunta di Palazzo Vecchio emerge con chiarezza che l’intervento
pubblico non è finalizzato a dare risposte all’emergenza
abitativa . L’emergenza abitativa diventa il grimaldello per
deregolarizzare ogni forma di intervento e permettere l’abuso del
territorio e la certezza dei profitti.

Anche
Renzi ha capito come si fa: a pochi mesi dall’insediamento si è
già mosso secondo i dettati del d.l.112 e ha inserito nel
piano delle alienazioni quasi tutto il patrimonio del Comune. Appena
decisa la destinazione urbanistica degli immobili andrà in
Consiglio Comunale per l’approvazione del piano e questo costituirà
di per sé una variante al piano regolatore. Dulcis in
fundo…invece di metterli all’asta darà questi immobili
direttamente alle banche attraverso la costituzione di un fondo
immobiliare…..dei proventi della vendita nemmeno un euro sarà
investito in case popolari!

Bisogno
casa come “mantice”

Bisogno
Casa ed Emergenza Abitativa sono stati dunque, da un lato, separati
dall’idea di diritto e dall’altro usati strategicamente come
“mantice” per soffiare sul fuoco della speculazione e del consumo
di suolo. E’ in virtù dell’intenzione, solo di facciata, di
costruire alloggi per assecondare una forte domanda che imprese
medie e grandi ottengono concessioni edilizie su aree urbane e non
destinate altrimenti da Piani Regolatori ormai ridotti a lettera
morta. E’ il caso dello stesso Centro Sociale nEXt emerson che
ospiterà il meeting nella nuova sede occupata. Dopo 13 anni di
permanenza in un ex-calzaturificio destinato dal PRG ad “attrezzature
e servizi pubblici” viene sgmberato per far posto ad uno degli
edifici del Piano 20.000 alloggi in affitto. Non solo sul CSA
costruisce la ditta che si aggiudica l’appalto ma anche su un
“pratone” adiacente classificato come area “a verde-agricolo”.
E’ un caso come tanti. Per rimanere a Firenze e allo stesso Piano
basti pensare che di 9 edifici realizzati 6 sorgono su aree
“protette” e/o altrimenti destinate.

Si
costruiscono sempre più alloggi, quindi, generando una catena
di paradossi che solo le leggi dell’accumulazione possono spiegare.
Il paradosso che nonostante l’aumento di case (offerta) i prezzi al
mq non scendono e se scendono non scendono abbastanza per le tasche
dei più. Il paradosso di “invogliare” fabbriche ed
artigiani alla dismissione facendo intravedere i lauti guadagni
provenienti dalla vendita di capannoni e strutture edificabili. Il
paradosso di trasformare le città in prigioni a cielo aperto
saturandole per numero di abitanti e conseguentemente di automobili,
traffico, rifiuti… . Il paradosso che al maggior numero di abitanti
per mq non corrisponde un aumento dei servizi sociali e delle
strutture pubbliche che avrebbero invece potuto trovare una sede
proprio laddove si è costruito alloggi e ancora alloggi.

Autorecuperare
le città

E’
proprio su questo che vorremmo espandere e intensificare il
dibattito. Se con Autorecupero si è inteso fino ad oggi,
perlopiù, la ristrutturazione di stabili esistenti a scopo
abitativo ci sembra possibile allargare l’orizzonte. Autorecupero
come pratica antagonista alla cementificazione, alla nuova edilizia
ed al consumo di suolo. Autorecupero come strumento per “salvare il
salvabile” e stabilizzare esperienze autogestite. Recupero, difesa
dalla speculazione, destinazione ad uso sociale di stabili, aree e
strutture sono anche le rivendicazioni e le richieste di molti
comitati di cittadini e abitanti impegnati nella tutela della
vivibilità urbana e/o dei beni comuni. Su questo terreno
assistiamo in più parti di italia a positive convergenze,
scambi e reciproco rafforzamento tra lotte per la casa e lotte in
difesa dei territori. E’ l’evidente riconoscimento che non può
esserci una città in cui non tutti abbiano “un tetto sulla
testa” ma che non vale la pena vivere in città insalubri,
sature, alla mercè dell’imprenditoria privata. Vorremmo
discutere di Autorecupero anche in questa chiave. Leggendone le
potenzialità di trasformazione e progettazione dal basso di
porzioni urbane da
destinare ad uso sociale; aree verdi, parchi, luoghi di incontro,
parcheggi gratuiti, palestre, sale da ballo, cinema di quartiere,
biblioteche, spazi per mercati rionali dalla filiera corta, sedi di
servizi sociali e collettivi. In questo senso l’esperienza, seppur
carsica e non sempre all’altezza dei tempi, dei Centri Sociali e
degli Spazi Autogestiti continua a dire, rappresentare e praticare
qualcosa di significativo non solo per se stessi ma per la
complessità delle città che abitano.

Programma aggiornato

Incontro
nazionale “abitare nella crisi”

L’incontro si articola su tre giorni,
12, 13, 14 marzo 2010

Schema
delle giornate e del programma:


Venerdì
12

Sabato13


Domenica14

Viale Matteotti
15 occupato

Pomeriggio

ore 18.00

Accoglienza partecipanti, raccolta/distro documentazione

Kulanka, via
luca giordano

Tavolo di lavoro delle scuole di italiano autogestite per migranti

CSA
Next Emerson, via di Bellagio

Sera

ore 21.00

Cena benefit per lo Spazio
interculturale kulanka e il progetto fiorentino
Insicuri

+
presentazione  del
documentario: "Magari le Cose Cambiano" 

di A.Segre

Mattino:

Tavoli di lavoro per argomenti:

 

a) Inchiesta sociale:

Vita nelle
occupazionie meccanismi di consapevolezza. Seconde generazioni,
alla ricerca di un linguaggio comune.

 

b) Politiche dell’abitare: possibili
risposte dal basso. Autorecuperare le città.

 

c) Autorecupero e
autocostruzione: esperienze a confronto

(parteciperà Annalisa
Pecoriello, urbanista,

arch. Mariangela Martellotta, associazione Hassan Fathy,

arch.Dariuche Dowlatchahi, associazione Hassan Fathy)

 

 

d) I movimenti e la metropoli

 

Pomeriggio:

ore 15.00 -ore 18.00

Seminario di formazione e dibattito:

Beni comuni e lotte per il reddito
nella crisi: dalla città neoliberale alla città in
comune.

 

ore 18.30 Assemblea delle realtà
di movimento nazionali presenti

 

ore 21.00 Cena benefit per la cassa
denunce Cecco Rivolta

 

ore 23.00 Performance a cura di Teatre des senses “I wanna be Maria”.

A seguire selezioni trash

Mattino:

Tavolo di lavoro sul libro bianco sulla repressione e strategie di
autodifesa sociale e legale.

Pomeriggio:

Relazioni dei
tavoli e conclusioni

 

dalle ore 16.00

 

bio-emerson mercatino di autoproduzioni con materiali di
recupero e di produttori bio e km zero

I tavoli della mattina sono intesi
come uno spazio di lavoro e coordinamento da preparare possibilmente
prima tra le realtà attive ed interessante.

Programma:

A.Tosi (Università Politecnico
Milano Dipartimento pianificazione e territorio)

A.Petrillo (sociologo, Politecnico
Milano)

D.Nalbone
(giornalista, Roma)

G.Paba ( presidente corso di laurea in
pianificazione e progettazione delle città dell’univ.Firenze,
Laboratorio progettazione ecologica insediamenti)

P.Berdini (urbanista, Roma)

Laura Colini (Ricercatrice Inura –
Progetto Mediacity- Weimar)

La mattina di domenica sarà
dedicata ai lavori sul libro bianco sulla repressione ed alla
discussione di possibili iniziative di difesa legale e militante
delle esperienze di autogestione. Fino ad ora hanno dato la loro
disponibilità a partecipare:

Simonetta Crisci (avvocato, Roma)

Marialuisa D’Addabbo (avvocato Roma)

Mirko Mazzali (avvocato Milano)

Dario Rossi (avvocato Milano)

Sauro Poli (avvocato Firenze)

Per
proposte e commenti:

vik@riseup.net

morde@inventati.org

Logistica:

comunicateci di quanti posti letto
avete bisogno!!

Per info e contatti:

blanqua@inventati.org

occupazione colosseo x il diritto alla casa

Epicentro Solidale:il ruolo dell’emergenza nella pianificazione del territorio aquilano

IL RUOLO DELL’EMERGENZA

NELLA PIANIFICAZIONE DEL
TERRITORIO AQUILANO

Il ragionamento che vorrei fare,
parte dal concetto stesso di territorio, inteso come esito di
relazioni profonde tra ambiente naturale, costruito ed antropico.
Tali relazioni si stratificano nel corso della storia arricchendosi,
modificandosi fino a costituire l’identità stessa dei
luoghi.

La vallata aquilana è
fortemente segnata dalla tettonica e dalla morfologia, con a nord la
catena del Gran Sasso, degradante tramite una serie di piani carsici
e a sud il ripido allineamento dei Monti di Ocre e del Sirente. Al
centro una depressione riempita da depositi alluvionali, trai quali
scorre l’Aterno.

In questo contesto la vicenda
umana ha realizzato un ambiente costruito che si basava, fino a
qualche decennio fa, su alcuni elementi chiaramente leggibili: i
pascoli naturali e artificiali, il paesaggio agrario a campi aperti,
i borghi accentrati, la città, la viabilità principale
di fondovalle e quella secondaria a pettine.

Il sistema economico si reggeva
sull’economia agro-pastorale e sul commercio. Un’economia
essenzialmente riproduttiva, intrinsecamente connessa alle risorse
locali, impossibilitata dai limiti tecnologici ad incidere sul
funzionamento degli ecosistemi e capace di produrre qualità
territoriale. A scanso di equivoci: un’economia spesso fondata
sulla pura ingiustizia, talvolta con un impatti ambientali
significativi, ma almeno capace di creare coesione all’interno
delle classi sociali.

Il passaggio dall’economia
primaria a quella secondaria ha causato in una prima fase un
profondissimo impoverimento dell’area, con ondate migratorie che
hanno determinato lo spopolamento e il crollo delle funzioni
produttive. In una seconda fase (dagli anni ’60 in poi) si
innescano veri e propri fenomeni di deterritorializzazione:
l’urbanizzazione dell’Aquila cresce di ben 6 volte, invadendo la
pianura alluvionale dell’Aterno, con i nuclei industriali, la
periferia, il percorso autostradale.

Tali trasformazioni sono tutte
contenute nel P.R.G. del ’75, che pianifica con almeno un decennio
di ritardo, la città-fabbrica. Nello stesso momento in cui la
crisi petrolifera e la conflittualità operaia altrove segnano
la fine del “novecento”, la SIT-SIEMENS e altre grandi imprese
fuggono dal nord per invadere nuovi e più tranquilli spazi.

Negli stessi anni inizia la
lottizzazione a nord-ovest della città (proprio a ridosso
della faglia di Pettino). I terreni appartengono in buona parte ai
vecchi ceti parassitari sopravvissuti al ciclo economico precedente,
sulla scena cittadina irrompono le grandi famiglie dei costruttori. I
politici locali, sotto la regia sapiente di padrini altolocati
partecipano alla spartizione del bottino.

Gli ultimi anni vedono, aldilà
della retorica sullo sviluppo sostenibile e sull’Abruzzo regione
verde d’Europa, un continuo deterioramento del patrimonio
territoriale. I pascoli artificiali e i coltivi vengono completamente
abbandonati, i centri montani continuano inesorabilmente a
spopolarsi, o in alcuni casi subiscono la “valorizzazione
turistica” in duplice versione: verde e radical-scic (l’albergo
diffuso di S. Stefano di Sessanio) o di massa (i bacini sciistici di
Campo Felice e Monte Magnola), le aree agricole di pianura sono
invase da microscopici ed inutili nuclei industriali, da cave, da
discariche, infine lo scempio della SS17 nella Piana di Navelli. I
centri storici (sia dell’Aquila che dei paesi limitrofi) perdono
peso e qualità, crescono l’insediamento diffuso e
l’addensamento intorno ai poli commerciali.

Durante le giunte Tempestai il
territorio è frazionato da P.R.U.S.S.T., P.I.T., Piani per la
recettività, viene progettata e realizzata la tranvia di
superficie. L’amministrazione Cialente si differenzia ben poco, con
le mire speculative sull’area di San Sisto. Intanto ai vecchi
palazzinari se ne aggiungono altri.

Questa la situazione prima del 6
aprile: erosione progressiva del territorio, rallentata solo dalle
capacità resistenziali insite nelle caratteristiche locali,
voluta dai potentati economici (in prevalenza legati alla
valorizzazione fondiaria e all’edilizia), favorita da un ceto
politico/amministrativo servile, subita da una società civile
particolarmente chiusa.

Eppure non bastava, ancora non era
possibile tutto! Non era bastato “vincere” il conflitto
capitale/lavoro: trasformare contadini in docili salariati
dell’industria o in piccoli borghesi, deportali dai loro paesi
nella periferia delle città, sfruttarli, colonizzarli ed
infine licenziarli. Non era bastato “vincere” il conflitto
capitale/ambiente facendo scempio di ogni valore.

Il capitale, qui come altrove,
aveva bisogno di una nuova frontiera dove esportare la crisi che
produce: la nuova frontiera si chiama emergenza, la porta per
accedervi è stato il terremoto.

Oltre
quella porta ciò che prima non era politicamente conveniente,
finalmente è diventato condivisibile e perfino “necessario”.
Ora che i valori fisici sono in buona parte distrutti (almeno così
si vuole credere) tutti i fenomeni di degrado territoriale potranno
accelerare e amplificarsi. Prima del terremoto nessuno avrebbe
accettato di essere licenziato dall’oggi al domani, di perdere la
propria attività lavorativa, di essere impossibilitato a
determinare le proprie scelte persino nel agire quotidiano. Nessuno
avrebbe accettato di essere trattato non più come un cittadino
con diritti acquisiti, ma come un mendicante costretto a ringraziare…
quante volte abbiamo letto “Grazie Silvio!”. Nessuno avrebbe
accettato di vivere nella sospensione dei diritti, con continue
limitazioni e controlli, tra colonne di mezzi militari e divise di
ogni genere che girano minacciose tra le nostre miserie. Nessuno
avrebbe accettato che L’Aquila venisse ridotta ad una polarità
lineare, disposta lungo gli assi della S.S. 80 e S.S. 17, gerarchica
e veicolare, con un centro commerciale, una serie di dormitori, una
miriade di casupole sparpagliate in ognidove, un reticolo di strade
ingorgate. Nessuno avrebbe accettato il che il centro storico fosse
espropriato dall’esercito, ibernato in previsione di diventare
proprietà della Fintecna, che provvederà a valorizzarlo
e ad immetterlo nel mercato immobiliare riservato alla grande
borghesia romana. Nessuno avrebbe immaginato che i palazzi della
periferia fossero destinati all’abbandono, perché inutili
dopo la costruzione di migliaia di nuovi edifici, ben più
allettanti perché spacciati vergognosamente come antisismici,
sostenibili, ecologici. Nessuno avrebbe immaginato che l’intera
vallata fosse invasa dal cemento, in una smania per cui nulla si
recupera e tutto si costruisce.

Soprattutto nessuno avrebbe
tollerato che questo catastrofico risultato fosse non tanto il frutto
del terremoto, quanto quello di scelte politico-economiche.

Nessuno avrebbe tollerato che i
morti, i crolli, le difficoltà, la miseria, diventassero
oggetto di arricchimento per le grandi imprese o di propaganda per i
politicanti.

Progettare, tra le macerie di una
città insostenibile, avrebbe potuto assumere il significato di
prendersi cura del territorio, recuperare, riutilizzare il patrimonio
di risorse naturali e culturali, restituire un senso a ciò che
avevamo.

E’ avvenuto esattamente il
contrario. Per realizzare questo disastro non sarebbe bastato neppure
il trauma del terremoto, la paura, lo smarrimento, l’accettazione,
la rassegnazione che esso produce.

Sono serviti il ritorno del
fascismo, il peggior governo pensabile, la complicità delle
opposizioni, la militarizzazione del territorio, i sistemi di
controllo, le tante operazione di lobotomia perpetrate nei campi, lo
stupro culturale del G8, le menzogne, il buonismo, la creazione di
falsi nemici e di falsi miti.

Hanno ottenuto quanto volevano:
una società che ha perso ogni capacità critica,
decisionale, resistenziale, ben contenta di accettare la
frantumazione in tante microscopiche nicchie, fisicamente
rappresentate tanto dalla miriade di casette, che dal piano C.A.S.E.,
dove la dimensione individualista dell’abitare è esaltata
dalla cura degli interni.

Una società che ha
rinunciato alla propria dignità e alla propria dimensione
urbana in cambio di quattro baracche con il televisore al plasma.

E hanno ottenuto un territorio che
ormai è solo merce, è solo la tabula rasa su cui
scaricare ogni funzione economicamente vantaggiosa.

Questo lavoro sporco poteva
riuscire solo ad un esercito del bene, concettualmente inattaccabile:
la Protezione Civile