BOLOGNA PRENDE CASA SENZA SE E SENZA MA

 Liberazione 7 gennaio 2010

Fino a poco tempo fa
si pensava all’Emilia come a un’isola felice, dove esisteva un modello
socio-economico capace di svilupparsi e di mantenere intatte finalità
solidaristiche. Il modello emiliano, andato in crisi alla fine degli
anni 80 ed esploso alla meta degli anni 2000, pur presentando
contraddizioni, riusciva a sostenere le criticità.

Oggi i processi di crisi
e il disfacimento di quel modello portano il territorio bolognese ed
emiliano a doversi confrontare con drammatiche situazioni, vissute solo
immediatamente dopo la fine della II Guerra Mondiale. Il numero delle
aziende in crisi è in rapido aumento, dal settore industriale a quello
dei servizi. La crisi in atto ha portato nell’ultimo anno a una
notevole contrazione dei salari. Il quadro già allarmante subirà un
peggioramento nelle prossime settimane, a causa della fine degli
ammortizzatori sociali. Questo aumenterà il precariato fino ad arrivare
a vere e proprie sacche di disoccupazione strutturale, 60.000 a
Bologna, fenomeno inedito in questa regione.

Lo strettissimo rapporto
tra lavoro e abitare diventa quindi un paradigma della crisi. Per la
prima volta si vive l’emergenza abitativa, fino a pochi anni fa legata
unicamente agli studenti fuori sede. L’affitto e la rata del mutuo sono
le spese che più incidono sul reddito, l’aumento dell’insolvenza di
entrambe è la prima spia della sofferenza economica dei lavoratori. La
politica, con un’ottica miope, si è illusa che il modello emiliano
potesse garantire uno sviluppo del benessere.

L’attuale fase ha
smentito questa previsione. Gli strumenti messi a disposizione dalla
Regione per affrontare il problema casa sono assolutamente inadeguati:
dal fondo per l’affitto, al bando prima casa per giovani coppie
passando per l’Housing Sociale, finanziamento per costruttori edili e
speculatori immobiliari. Le famiglie investite direttamente
dall’emergenza non trovano risposte in queste soluzioni e si innesca
una guerra tra poveri per ottenere l’assegnazione di una casa popolare.
Si alimentano leggende legate all’immigrazione, creando lacerazioni
sociali che rischiano di sdoganare comportamenti razzisti di massa. Si
sposta l’attenzione dal vero problema: la mancanza strutturale di
investimenti in edilizia residenziale pubblica, che ha permesso a
speculatori, cioè proprietari immobiliari e banche, di fare profitti
tramite la rendita. Alle altre migliaia di famiglie, che ancora non
sono in emergenza abitativa, ma che sono in difficoltà rispetto alla
diminuzione del reddito, vengono proposte ricette già viste che
prevedono l’acquisto della casa attraverso l’indebitamento, meccanismo
che sta portando già molti a perdere l’alloggio per l’insolvenza delle
rate.

Sul piano locale,
come nel caso di Bologna, le amministrazioni propongono progetti e
bandi altrettanto insufficienti, sia per il numero di persone coinvolte
sia per le tipologie individuate ad esempio il bando per l’auto
recupero che prevede la costruzione di 50 alloggi in tre anni o il
co-housing che riguarderà 50 posti letto in 4 anni, o il recente bando
anticrisi che ha visto lo stanziamento di soli 230.000 euro. Le cifre
solo sul territorio bolognese parlano di 35.000 famiglie residenti che
hanno bisogno di sostegno abitativo. Di fronte a questo scenario
diverse realtà bolognesi, l’Associazione Inquilini Assegnatari
(AS.I.A.-RdB) e spazi sociali come il Lazzaretto Autogestito, l’HUB,
hanno dato vita alla rete Bologna Prende Casa (http://bolognaprendecasa.noblogs.org/).

BPC è un progetto che
permette a attivisti sociali e del sindacalismo di base di lavorare
insieme per intervenire dentro le nuove contraddizioni della città. Le
diverse esperienze trovano forme di sintesi attorno a progetti di
intervento comune. Il tentativo di BPC è quello di riconquistare il
territorio attraverso vertenze per spazi pubblici e per il diritto alla
casa. Una idea di città non più basata sulla rendita e la speculazione
immobiliare, ma un’idea dell’abitare fondata sull’esigenze popolari.
Riconquistare territorio vuol dire lottare per le garanzie sociali:
salario sociale, un lavoro non precario e la difesa e il rilancio dei
beni comuni (acqua, salute, istruzione, ecc..), con una idea di
collettivo contrapposto all’idea di mercato. BPC è una forma di
sperimentazione di sindacalismo metropolitano, che vuole dare
organizzazione e identità ai settori popolari precari, abbandonati o
consegnati alle nuove destre.

L’attività in
questi mesi ha permesso ad una rete di attivisti di organizzare
direttamente porzioni sociali investite dall’emergenza abitativa,
dall’apertura di sportelli per il diritto alla casa, alla creazione di
una rete per i picchetti antisfratto, creando un meccanismo di mutuo
soccorso fra gli sfrattati stessi, passando per occupazioni di alloggi
privati sfitti. Si sono susseguite occupazioni di tetti, compresi
quelli del Comune di Bologna. Se da un lato assistiamo ad un tentativo
di criminalizzazione delle pratiche di BPC, dopo ogni sfratto bloccato
a quello successivo c’è il doppio di polizia, dall’altro si sono
ottenuti i primi risultati come l’approvazione di una delibera di
Giunta che consente il passaggio da “casa a casa” per alcuni sfrattati.
L’emergenza sfratti, il caro affitti e l’insolvenza delle rate del
mutuo sono i punti al centro della piattaforma su cui sta lavorando
BPC.

Le proposte sono l’apertura
di “ostelli per sfrattati”, la requisizione di alloggi privati sfitti
finalizzato all’aumento delle case popolari e un intervento diretto
delle amministrazioni in caso di insolvenza al mutuo prima casa.
L’emergenza abitativa in Emilia è omogenea, sono infatti nate altre
strutture e mobilitazioni per il diritto alla casa in altre città, come
la Società di Riappropriazione Urbana di Parma. La messa a rete di
queste esperienze è un passo necessario per riuscire ad essere
realmente incisivi, contrastando le politiche a favore della rendita
dell’amministrazione regionale.