[PISA] Il corpo delle istituzioni è sacro, quello dei senza diritti no

Le reazioni politiche al duro faccia a faccia tra le famiglie sotto sgombero di via Marsala e il sindaco di Pisa Filippeschi rivelano quant’è profonda la crisi democratica, nel paese e in città. Il Comune è tanto lontano dalla popolazione e dai suoi disagi che, quando si arriva a un confronto diretto, l’esasperazione è tale che tutti – dai giornali alle istituzioni, dai partiti ai sindacati – denunciano l’episodio come un atto di intimidazione. Si dà solidarietà al sindaco per un’aggressione che non c’è stata: bastava essere presenti o aver visto le riprese pubblicate online per saperlo. Si stigmatizzano i soliti “facinorosi”. Si annunciano interpellanze al Ministro degli Interni.

A far scattare questa reazione unanime non è tanto la difesa del sindaco, ma la salvaguardia della convenzione sociale che fissa confini ben precisi alle rivendicazioni dei cittadini: quando questi confini vengono superati, la rivendicazione diventa violenza. Nessuno ha più il coraggio di dire da dove proviene la violenza vera – ossia dagli speculatori e dagli imprenditori spregiudicati che ci lasciano senza casa e senza reddito, dagli uffici pubblici che ci trattano come una pratica da sbrigare, o dal ricorso improprio alle forze dell’ordine. Chi non tollera questa situazione e l’ipocrisia che la copre viene isolato come “intollerante”. Il suo torto è aver dimenticato che il corpo del potere è sacro, mentre il proprio non lo è. Lo sciopero della fame iniziato dalle famiglie di via Marsala esprime anche questa atavica ingiustizia.

La contestazione diretta viene così utilizzata per giustificare la chiusura delle istituzioni – decisa e praticata da tempo – e preparare eventualmente l’opinione pubblica al giro di vite repressivo: lo sgombero. Quando i senza-diritti osano chiedere rispetto rivelano la loro vera natura di immeritevoli e autorizzano la classe politica ad auto-assolversi: non possiamo trattare – si dice con rammarico – con chi chiede diritti compiendo atti illegali. La verità è che non ci può essere solidarietà verso chi rivela che dietro le apparenze della democrazia rappresentativa operano spietati rapporti di potere, che fanno pagare la crisi economica a chi non ne è responsabile.

A quarant’anni dalle rivolte nei campus statunitensi, che le hanno ispirate, le parole di Hannah Arendt conservano tutta la loro forza: “Strappare la maschera di ipocrisia con la quale l’avversario copre il suo volto, rivelare le manipolazioni che gli permettono di dominare senza utilizzare mezzi violenti, lanciarsi nell’azione a rischio di essere schiacciati per proclamare la verità: queste sono ancora oggi le motivazioni di chi protesta”. La storia si ripete e, come recita l’incipit di un grande libro, è una storia di lotta tra le classi. La politica alta ha il compito di orientare questa lotta verso una società più umana. La bassa politica si limita a denunciarla quando, dopo averla alimentata, non la può più ignorare.

Federico Oliveri

Ricercatore precario dell’Università di Pisa